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Una figlia venuta dall’Est

Una storia di accoglienza ed amicizia.

di Maria Rosa Brian - Afi Treviso

 

Vi voglio raccontare una semplice storia, che non ha nulla di straordinario o eccezionale. Ho deciso di raccontarvela prima di tutto perché è bella: parla di ospitalità e condivisione, poi perché l'ho vissuta e la sto vivendo da vicino e infine perché può far ricordare tante storie simili a questa, storie che ci sono passate accanto avvolte nel loro silenzio e anonimato, ma che fanno tanto bene a chi le vive.

La mia storia inizia più di vent'anni fa quando Vittoria e Matteo, una coppia di coniugi le cui figlie hanno ormai lasciato il nido e formato le loro famiglie, decidono di aderire a un progetto di un'associazione della loro parrocchia. Attraverso quest'associazione ospitano, durante i mesi estivi, "un bambino di Chernobyl": il sole, l'aria pura, l'acqua pulita e il cibo sano sono un toccasana per questi bimbi, vittime innocenti della fuga radioattiva avvenuta a Chernobyl quando loro non erano ancora nati (26 aprile 1986). Matteo e Vittoria chiedono di ospitare una bambina, così la loro nipotina di otto anni avrebbe avuto una compagna di giochi.

A luglio arriva Maria, undici anni, bionda, pallida, più piccola rispetto ai bimbi italiani della sua età; si tira dietro una valigia vuota più grande di lei, con dentro un pezzo di pane vecchio e una fetta di formaggio -la speranza è di riportare a Kiev quella valigia piena di ogni ben di dio. Maria, a differenza della maggior parte dei bimbi arrivati, non proviene da un orfanotrofio, ma ha una famiglia; è sveglia e intelligente, educata e intuitiva, in breve tempo riesce a capire e comunicare in italiano: una lingua che le era completamente sconosciuta.

Per cinque anni, ogni estate, Maria arriva a casa di Vittoria e Matteo e gioca con Serena e i suoi cugini Stefano e Federico. Ogni anno, nonostante le ristrettezze economiche della sua famiglia, arriva da Kiev con souvenir e regalini per tutti. Dopo un ultimo soggiorno come accompagnatrice dei bambini più piccoli, di lei si perdono le tracce. Solo dopo alcuni anni, Serena, ormai adolescente, grazie all'avvento dei social ritrova Maria diventata una giovane donna, sposata e madre di un bambino. Iniziano così a mantenere un contatto, grazie appunto alle notizie che condividono sul web.

Tutto cambia a febbraio 2022 quando, dopo l'inizio dei bombardamenti, Maria coglie l'invito di Serena e scappa da Kiev con il suo bambino. Sono momenti frenetici e difficili: non è semplice organizzare l'arrivo di più persone per un periodo indeterminato, non è come ospitare una bimba per due o tre mesi supportati da un'organizzazione. Vittoria, le figlie, i generi, i nipoti e tantissimi conoscenti e amici si mobilitano.

C'è una casa disabitata vicino a quella di Vittoria: è resa disponibile dalla proprietaria, è ammobiliata, basta pulirla e sistemarla. In breve arriva tutto ciò che manca. Attraverso il passa parola tantissime persone si fanno carico e offrono ciò di cui c'è bisogno e anche di più: "Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio" (Lc 6,38). Mai parole evangeliche furono più appropriate.

Maria arriva una domenica sera in pullman dopo un viaggio estenuante durato due giorni. La sua valigia è come quella di vent'anni fa: grande e vuota, conteneva cibo e acqua per lei e il suo bimbo durante il viaggio. Dopo alcuni giorni arriva anche un'amica di Maria con i suoi due figli. Ora in quella casa sono in cinque rifugiati e solo Maria parla italiano, lingua che non aveva più parlato dalla sua infanzia, ma che ricorda perfettamente. Di guerra non si parla, si evita di guardare il telegiornale, anche se loro sono sempre informate su ciò che succede nel loro paese dove i loro mariti sono in guerra, le loro famiglie sotto le bombe e le loro case abbandonate. Sono donne forti: Vittoria non le ha mai viste piangere, abbattersi o disperarsi. I loro bimbi sono come i nostri, giocano alla guerra; chissà se i loro sono giochi di fantasia o emulazione di ciò che hanno visto...

Maria, ritornata in Italia dopo vent'anni, ha detto di essersi sentita di nuovo a casa, le è sembrato di essere una figlia lontana che è ritornata; questo perché ha ritrovato i soprammobili che da bambina aveva regalato: Vittoria li aveva conservati in bella mostra; e poi nell'album di foto che hanno sfogliato insieme c'era ancora la foto della famiglia di Maria che lei bambina aveva donato a Vittoria come sigillo della loro unione... forse l'unica sua foto che è riuscita a salvare dalla guerra.

Ad agosto, dopo quasi sei mesi, Maria e il suo bimbo sono ritornati a Kiev e, tra un coprifuoco e un'interruzione della corrente elettrica, cercano di vivere una vita normale tra lavoro, scuola, spese, giochi. Ogni tanto ci si scrive: ora con internet tutto è vicino e veloce. In questo periodo, per Vittoria, quando si parla di guerra e di bombardamenti, il pensiero va subito a Maria e alla sua famiglia. Kiev è vicina, è nel cuore, perché fra tutte quelle persone in difficoltà c'è una figlia che vive là.

Termino questa storia con un piccolo particolare: il bimbo di Maria ha 11 anni, come lei quando è venuta in Italia la prima volta e si chiama Matteo, proprio come mio papà, il marito di Vittoria che non c'è più: coincidenze? casualità? Forse sì, ma in ogni caso fa bene al cuore pensare che nulla è per caso. Prendersi cura ci fa essere responsabili: come dice la volpe, ne "Il Piccolo Principe" di A. de Saint-Exupéry, "siamo responsabili di chi addomestichiamo, perché addomesticare significa creare legami".

 

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