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Il primato della destinazione universale dei beni

di Cristina Bordignon - presidente Afi Treviso

 

Come gli altri principi della Dottrina Sociale, anche quello della destinazione universale dei beni consente di illuminare il giudizio etico su determinate questioni e trova applicazione nella ricerca di soluzioni a problemi concreti.

Il tema del primato della destinazione universale dei beni, a cui dev'essere subordinata come strumento operativo la proprietà privata, è stato più volte richiamato in encicliche e trattati nel corso della storia e non a caso papa Francesco nell'enciclica Fratelli tutti (nn. 119-120) ha riproposto questa tesi tradizionale: «Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati... Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongano sopra quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica». Se la destinazione universale dei beni limita e inquadra il diritto di proprietà, non si deve pensare che siano per forza in conflitto. Piuttosto, si sostengono l'un l'altro.

Anche il diritto di proprietà dovrebbe diventare universale perché sia rispettato il «diritto all'uso dei beni della terra», che si traduce nell'«obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti». È giusto dire che la destinazione universale dei beni si realizza tramite l'accesso alla proprietà privata. Ma questo non significa che la proprietà privata sia solo lo strumento per realizzare la destinazione universale dei beni.

La proprietà privata è legata al lavoro, al giusto salario, al risparmio, al fisco, al sistema bancario, all'inflazione, alle concentrazioni produttive e finanziarie, al ruolo dello Stato in economia. Tale diritto è quindi centrale nella vita sociale e per questo motivo va inteso correttamente. Non va dimenticato che quando nella storia si è voluto abolire la proprietà privata, si è attuato in realtà niente altro che un suo trasferimento in altre mani. Il modo migliore per realizzare la destinazione universale dei beni è il favorire la partecipazione alla proprietà tramite il lavoro, un lavoro che deve essere rispettoso dell'ambiente.

Il nostro sistema di sviluppo e di crescita è tutto schiacciato sul qui e ora, e così rischia di spezzarsi il legame che unisce tra di loro le generazioni. Ridare priorità al tempo significherebbe, oggi, usare le risorse non rinnovabili della terra sapendo che le abbiamo ereditate dai padri e che dobbiamo lasciarle in eredità ai figli. E quindi fare calcoli diversi per misurare la nostra crescita e il nostro benessere. Il nostro capitalismo individualista baratta la qualità dell'ambiente, dell'aria e dell'acqua di domani, il futuro di interi popoli, con qualche grado di temperatura in più o in meno nelle case del nord del mondo, e continua a mangiare - con golosità - terra, ambiente, poveri.

Un altro ambito in cui viene richiamato il principio della destinazione universale dei beni è quello dei movimenti migratori; se delle popolazioni sono costrette alla migrazione, uno dei motivi è la cattiva ripartizione dei beni della terra. La migrazione permette la distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre; una visione che conferisce alla destinazione universale dei beni una dimensione geografica: gli uomini hanno in certo modo il diritto di andare a cercare i beni della terra dovunque, se essi non sono disponibili in quantità sufficiente nel luogo in cui vivono. Per ridurre la spinta alla migrazione, occorre una distribuzione più equa di tali beni, il che esige la ricerca di un nuovo ordine economico internazionale, una conseguenza piuttosto indigesta ai popoli ricchi.

La destinazione universale dei beni si presenta così come un criterio di valutazione della giustizia di ogni determinata situazione concreta e come uno stimolo ad agire perché quella giustizia venga rispettata. Francesco ci ricorda che il modello del capitalismo che oggi sta dominando il mondo, non è né il solo possibile, né il migliore. Il mercato è una costruzione storica, che muta in base ai valori di chi ne determina le dinamiche con i valori che possiede. Possiamo, anzi dobbiamo, richiamare il mercato all'inclusione e alla comunione come sua natura più vera e profonda, nel micro e nel macro, con le nostre scelte quotidiane e con le azioni sociali e politiche della nostra associazione.

 

 

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