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Essere genitori è il lavoro più difficile del mondo

di Alessio e Anna Lavarini - Afi Verona

 

Oggi sembra che per essere un buon genitore si debba aver letto almeno mezza dozzina di manuali, di ricettari, di istruzioni per l'uso. Ci spiegano come dobbiamo comportarci, quali regole seguire, come parlare, giocare o interagire. Sembra che oggi chi si cimenta nel ruolo di genitore non lo possa fare se non con una buona dose di ansia da prestazione e con la pretesa di dover rispondere a dei canoni che sono andati a formarsi nel tempo e che hanno il solo scopo, di certo non scientificamente provato, di impaurire, preoccupare e insinuare il dubbio.

E allora i neo genitori dovranno, per rispondere all'aspettativa e superare l'esame finale, elogiare l'ultima filosofia in voga, commentare con approvazione quell'ultimo libro, dimostrare come hanno messo in pratica il pensiero di quel sociologo o di quella psicoterapeuta Ma non è un po' troppo? Non stiamo forse togliendo la naturalezza, o meglio, la naturalità, mettendo sotto il freddo e sterile occhio clinico il più antico, naturale, e, mi si perdoni, divino dei processi umani? Siamo così abituati a dover sottostare a regole di comportamento, a dover rispondere a delle aspettative, a dover superare esami e prove che anche la genitorialità sembra per forza doversi inquadrare in questo contesto di sfida. Così abituati a rispondere (bene), a reagire (in modo consono), abbiamo perso la fiducia in noi stessi, nelle nostre capacità innate, nel nostro sentire, nel nostro, così spesso visto sotto una luce negativa, istinto.

Ma cosa è l'istinto se non la risposta che la natura dà a molteplici situazioni? Perché viene troppo spesso bistrattato a favore di una più studiata, asettica e distaccata tesi pseudoscientifica? Vorrei riabilitare il ruolo dell'istinto. Vorrei riabilitarlo anche perché è forse una delle cause principali per cui scegliamo di fare un figlio, per cui "sentiamo" che è arrivato quel momento, per cui scegliamo anche di farne altri, e altri e altri ancora.

Vorrei riabilitare anche l'importanza del ruolo del proprio sentire, della propria percezione delle sensazioni, delle emozioni, del proprio essere, di quella parte di noi che spesso teniamo nascosta perché pensiamo essere sbagliata o non all'altezza o non necessaria. Ebbene, vale forse l'opposto. Se riusciamo ad aprirci a noi, riusciremo ad aprirci all'altro. Se riusciamo ad aprirci all'altro, riusciremo ad aprire nuovi modi di vedere, sentire, costruire, vivere.

Se riusciamo a mettere da parte il "cosa e come dovremmo essere" e riusciamo invece a creare un ambiente autentico, dove semplicemente "siamo", allora l'essere genitore si rivelerà la più stupefacente, destabilizzante, sorprendente impresa della nostra vita. Una sfida, una scommessa con noi stessi, un'avventura, un procedere giorno per giorno lasciandosi sorprendere e rapire dall'inestimabile profondità di pensieri e sentimenti che si possono celare dietro un bimbetto di pochi anni.

Una volta abbandonate le catene del "dover essere" e abbracciate le redini del "sono" si fa spazio per un mosaico di sentimenti e di emozioni: l'amore incondizionato primo fra tutti. Quello che ci spinge ad amare senza riserve nostro figlio per il solo fatto che c'è, è lì. E' lì con la sua determinazione e la sua unicità, con la sua diversità che esorta ad interrogarsi, a guardarsi dentro, a mettersi in discussione. Se siamo intelligenti abbastanza, capiremo che non c'è gioia più grande del valorizzarla questa diversità, questa presa di posizione del voler essere sé stessi; non la copia del padre - non il desiderio della madre. Si aprirà allora per i genitori una catena evolutiva che non potrà che portare a nuove emozioni, a nuovi interrogativi e a nuovi territori inesplorati.

Se i genitori sapranno mettersi in ascolto dei propri figli si renderanno conto di quanto questi siano interessanti, di come riescano a trovare soluzioni alternative a situazioni comuni; di come spesso le nostre convinzioni, le nostre "verità", siano basate su fragili fondamenta facilmente sgretolabili dall'abilità - nei figli innata - del chiedere, dell'indagare e del vedere oltre.

Se la relazione con i nostri figli si costruisce e si rafforza, il rispetto, la stima e la comunione di spiriti cresceranno e si rafforzeranno di pari passo. Ecco allora che il legame con i figli diventa un'elica evolutiva in cui "tu cresci perché io cresco" e questo interscambio ci permette di vedere l'altro non come un rivale, un essere da plasmare e adattare o un traguardo da raggiungere, ma come una creatura divina unica ed irripetibile e il compito del genitore sarà quello di mettersi a disposizione perché questa creatura possa trovare il proprio spazio di felicità in questo mondo.

E la cosa più bella è che nella felicità dell'altro si ritroverà la propria.

In fondo i figli sono un dono di Dio per ridarci un assaggio (dimenticato) della Sua immensità: perché guardandoli negli occhi indugiamo nell'infinito, annusando il loro inconfondibile odore rievochiamo il profumo del Paradiso, ridendo di gusto con loro riecheggiano le note dei cori celesti.

I figli ci ricordano che lo scopo del vivere è la gioia.

 

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